Il ritorno di Pasquino: Lezione 4 = L’Italia Vietata dall’assenza di un popolo
Pasquino cede la parola (anzi la tastiera) a:
Ettore Rota
L’ITALIA VIETATA DALL’ASSENZA DI UN POPOLO
La guerra Italica: Contro il privilegio di Roma
La loro causa era convalidata da possenti ragioni. A malgrado delle libertà comunali concesse da Roma, essi godevano sempre di una limitata libertà, che non li sottraeva all’arbitrio dei numerosi funzionari Romani, protetti da Roma. Quali federati avevano il compito di servire agli interessi dell’aristocrazia sentaoria e alla sua politica guerresca in qualità di milizie senza un vantaggio proprio, in una condizione di periodica sudditanza.
Essi avevano creato l’egemonia di Roma sul Mediterraneo, il principato di roma sopra l’Italia, a prezzo della propria inferiorità civile.
L’imperialismo dell’oligarchia senatoria, ostinatamente aristocratica e conservatrice, concepiva l’Italia come paese dominante; Roma doveva esser la città dominante in Italia, e le terre conquistate, una proprietà esclusivamente romana.
I contadini italisi covvertirono questa concezione; la forza delle armi e la minaccia di secessionismo, fatale all’unità romana, ottennero una trasformazione radicale nella vecchia repubblica, nella struttura giuridica, politica e sociale di tutta l’Italia latinizzata.
Caio Gracco aveva formulato il grandioso disegno di rendere tutti uguali dinnanzi alla legge, prima Roma e L’Italia, poi l’Italia e ele province, si chè, tolta ogni differenza tra i vari membri dello Stato, non esistessero che dominanti e consumatori, dominanti e produttori, per dare al problema sociale la soluzione che poteva offrire la libera emigrazione da luogo entro l’ambito della sovranità di Roma.
Caio Gracco fu vittima di questo primo grande ideale ugualitario Esso fu raccolto dalla massa italia che Roma voleva esclusa dal godimento della cittadinanza romana, ossia, in termini concreti, dal privilegio dell’immunità tributaria, dalla partecipazine ai comizi popolari alla metropoli, alle cariche pubbliche, ai seggi nelle assembleealla direzione negli affari di guerra, ai benefici materiali che aveva portato la signoria di Roma sul mondo.
Roma concedeva, a tratti, la cittadinanza romana, ma con rigido criterio d’economia, in seguito a speciali meriti culturali. Ma anche questo preio di cittadinanza minuziosamente concesso, erasi arrestato con la sommissione dell’Italia.
L’ugualianza di diritti civili e politici, rispondenti a criteri di continuità geografica e a consanguineità di origine, offendeva le velleità romane di primato e di distinzione; per ciò l’osteggiavano non soltanto i senatori e la nobiltà ma la stessa plebe di Roma. E gli Italici di contro, dicevano: "Noi difendiamo con la nostra vita, la signoria di Roma: diamo ogni anno, in tutte le guerre, unumero di soldati e di cavalieri doppio dei Romani, e per noi appunto, Roma è giunta a tal fastidio di potere che ora insulta con il suo dispregio i popoli ad essa legati per origine e per sangue!".
L’idea municipale ha fatto molta strada. Ogni città vuol essere Roma entro il suo sacro pomerio. E’ un municipalismo di estenzione nazionale. E’ già tutta presente l’anima della storia futura.
Gli italici sentivano l’identità del proprio destino nella fraternità con Roma, nella comunanza dell’origine, nella eroica partecipazione alle sue battaglie e alle sue vittorie. Eccola l’idea italiana che ora si annuncia matura alla lotta; si leva in armi, ribelle di fronte ai soprusi del dispotismo romano, conscia della bontà della causa, superba della sua potenza morale; e inizia la rivoluzione nello spirito aristocratico di Roma, per cancellare le antitesi che esistevano fra le varie parti d’Italia, per conquistare tutta l’uguaglianza politica e l’uniformità del diritto; in breve, imporre una legge di parità nazionale dove dominava da secoli un sistema di preminenze privilegiate, oligarchiche e locali.
La riscossa ha già le forme di un patriottismo vicino alla nostra età: la cospirazione. Una lega segreta allaccia in tuutta lItalia le sue file oscure, e gli aderenti si obbligano con giuramento al sacrificio della vità sull’altare dell’idea comune. Ma se Roma dovrà riconoscere il buo diritto, dice la formula del giuramento, Roma sarà considerata la madre comune.
Rivoluzione di pensiero e rivoluzione di fatto per circa tre anni di combattimenti aspri e micidiali sui gioghi dell’Appennino, con incerto esito per ambe le parti; terrmibile e pur magnifica lotta che unisce tutti gli insorti nel nome augurale di Italia.
Gli insorti si elessero una capitale propria per dirigere la riscossa: Corfinio, posta tra le alture boscose dei Peligni; ma le cangiarono nome e la dissero "Italia", nome che allora per la prima volta fu assunto come simbolo di unione e di concordia contro uno stesso nemico, raffigurato nei faci e nella scure. E tutti gli insorti ne divennero cittadini con uguali diritti, come volevvano fosse nei riguuardi di Roma; vi posero un proprio governo ed armamento: ivi la sede del Senato, dei consoli, dei pretori. La grande famiglia degli Italici, mentre costruiva le mura di un’anti-Roma, foggiava sullo stampo della romanità la sua costituzione, nell’ordine civile e nell’ordine militare; e per la trattazione dei pubblici affari conservò la lingua latina, accanto alla sannitica che ancora predominava nel Mezzogiorno, e battà le monete del nuovo Stato italico sui modelli e sul piede di quelle romane, scrivendo Italia in nome di Roma. Insomma con elementi attinti da Roma si veniva costruendo la nazionalità italiana.
La lotta fra il toro sabellico e la lupa romana, per usare la figura allegorica che vedevasi in una moneta degli insorti, ebbe termine come gli insorti si erano proprosto. La nuova Italia fu proclamata, ma consenziente Roma. Il principio nuovissimo dell’uguaglianza politaica fu concquistato al prezzo di trecentomila giovani esistenze, ma esso iniziò una nuovissima storia. L’idea municipale italiana non perirà. E quale è nata tale persisterà nei secoli. Si è affermata insieme con la guerra civile: Con tinuerò così: carattere genuino che sarà il suo marchio perenne e incancellabile: infermità primigenia, costituzionale. Essa ha trovato il suo ostacolo maggiore in una egemonia locale, tenace nella sua volontà di primato. Sarà ancora questa la causa storica dell’opposizione anti unitaria.
da "Problemi del Risorgimento
Genesi storica dell’Idea Italiana"
di Ettore Rota, 1948, Ed. Vallardi, Milano