Tempo di fiori e cerini
Spettatore di una realtà che si ripete. Punto fermo, ciclico nella sua tradizionalità. Cambiano i volti, ma non il gesto della tradizione.
Così, questa mattina, il signore della porta di fronte è uscito vestito di nero, con i fiori e dei lumini in mano; si è incontrato con l’altro nonno che vive in cima alla strada e sono partiti assieme, per unirsi alla processione verso il Campo Santo.
Campo Santo, come diceva mia nonna mentre mi insegnava ad accendere quelle strane candele. Ricordo che mi perdevo nel colore della fiamma, così naturale e diversa dagli accendini di mamma e papà. Aveva l’odore pungente dello zolfo e di canfora, perchè quella scatola di cerini dimorava nella tasca del cappotto, di anno in anno.
Era una storia che si ripeteva, con gli stessi odori, gli stessi suoni, gli stessi passi.
Nonna passava in rassegna tutta la sua famiglia, ogni anno aveva un aneddoto in più su ciascun fratello, su suo marito, sui suoi genitori.
Anche mio padre, ma lui si distingueva per i suoi pochi punti fermi del passato: i genitori, i nonni ed un amico. Nel pomeriggio i racconti della guerra mentre la voce tremava per l’odio verso chi aveva ucciso crudelmente tutto il suo paese.
Era per tradizione il giorno più triste dell’anno, ma era un dolore che univa e faceva sentire parte del tutto.
Il paese si incontrava per i vialetti di sassolini bianchi e si salutava con cordialità perchè lì erano le loro storie, il passato ed il lontano futuro. Quello era un luogo che univa anche chi non si era mai conosciuto.
C’era l’odore pungente di fiori, suono di passi e soffiate di naso.
Non ho voluto seguire quei percorsi oggi: ho in mano quei cerini che odorano di zolfo e canfora, nella mente il suono di voci care. Il mio cuore è un lume che arde del ricordo di chi non c’è più.