Vita da… pendolari
Come silenziosi branchi di lupi assonnati compiono i loro gesti mattutini. Rituali, quasi, scanditi da un ritmo innato e naturale. La città ancora è avvolta dal manto buio del giorno che non intende svegliarsi, solo un lontano chiarore oltre le colline.
Si avvicinano lenti, attraversando la strada in punti vietati in altri momenti del giorno, ma non v’è alcuno, se non il solito furgone del pane. La stazione è ancora vuota, gli storici barboni del paese dormono sui loro cartoni avvolti con carte e resti di coperte e chi entra pare curarsi di non fare troppo rumore.
E’ una civiltà distinta quella dei popolo viaggiante: non nomade, perché torna sempre alla sua casa ove vorrebbe poter seminare l’orticello e vivere in serenità, tuttavia senza un centro ove sostare.
Paziente, a tratti passiva, talvolta nervosa, mai eccessiva. Accetta la disorganizzazione dei trasporti con calma rassegnazione.
Questo silente popolo attende un treno costantemente in ritardo che lo trascinerà con gli opportuni disagi, fino ad un’altra città. E seguirà ancora cammino, forse, o un nuovo bus e nuova attesa.
Raggiungerà il luogo di lavoro quando il fisico sarà sufficientemente stanco da confondere l’inizio della giornata con il momento del riposo. Ma resterà ancora lontano, mentre a casa la famiglia prosegue la sua vita, i bambini crescono, giocano… si perderanno i loro sorrisi.
Poi giungerà il tramonto e l’ora di tornare. Saranno accompagnati ancora dall’oscurità, fedele compagna di viaggio. Alterneranno sonno a silenziosi pensieri, brevi saluti.
Si conoscono tutti senza saper il relativo nome, si nota l’assente e la preoccupazione cresce per chi non sale per troppi giorni consecutivi.
Quando torneranno nelle proprie case la famiglia sarà stanca della giornata, i bambini avranno finito i compiti, i più piccoli già tra le braccia di Morfeo.
E crescerà l’amarezza del non aver vissuto, essere estranei alla propria casa: Inquilini notturni, volti illuminati soltanto dalla luce della luna.