Lungarno

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Non ero più tornata in questo giardino. Avevo cancellato dalla mia mappa della città questo spazio dove regna Eros, svolazzando tra i vialetti in cerca di cuori da trafiggere con le sue frecce dorate.

Sono entrata ed ho ripercorso le mie strade, le nostre strade. Rivedevo due ragazzini per mano, lei timida ed impaurita, lui sicuro e sbruffoncello nella voce, ma dallo sguardo fuggente.
Poi quelle figure sparivano, tra i rami secchi delle piante che attendono di rinascere al primo sole ed i voli degli uccelli acquatici.
Una papera mi osserva piegando il collo d’un lato. Forse risulto strana anche per lei. Sola, appoggiata ad una balaustra che si affaccia sul un fiume che riflette arte e cielo.

Starnazzano gli uccelli nei loro brevi voli, mentre si preparano per tornare a nuotare. La testa nera di una lontra fa capolino. Il vento gioca a fare mulinelli di foglie secche e cartine di caramelle.
Uno strano incantesimo mi fa sentire nostalgia di te, anche solo per un istante. Nostalgia delle tue bugie raccontate soltanto per sentirti grande. Nostalgia delle nostre risate e del mio bisogno e paura di affidarmi a te.

Era la prima volta che l’amore si vestiva "da grande", allontanandosi dal disegno a pastello del principe azzurro. Non era un cavallo quello che ci conduceva alla scoperta del mondo, ma un motorino giallo.
Ti abbracciavo perchè avevo paura, nella mia testa echeggiavano i mille divieti della mia famiglia. Sui motorini ci si fa male dicevano. Se cadi e picchi la testa puoi anche morire, terrorizzavano me per quella paura che tormentava il loro cuore.

Non sono caduta dal motorino, ma mi sono fatta male.
Non si muore per una ferita d’amore dettata dalla realtà delle cose.
Eravamo troppo diversi, i nostri sogni non sapevano incontrarsi. Io ero ancora una bambina vissuta nella bambagia, tu un ragazzo che si fingeva uomo vissuto.

Il vento spinge contro le mie gambe una pagina di giornale accartocciata, su cui si legge solamente Firenze, sogni sotto le stelle.

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