“E”

Ricollocò il volume sullo scaffale, quel tonfo sordo e polveroso lo fece destare dai suoi pensieri; avrebbe trascorso l’intera giornata dividendo il libri restituiti secondo un preciso ordine alfabetico, poi li avrebbe distribuirli sul carrello in un preciso ordinamento logico, infine avrebbe viaggiato tra sottosuolo e piani superiori fino a che ciascuna copia non avesse riconquistato l’originale collocazione. Pochissimi avevano il privilegio di penetrare nel cuore della cultura nazionale, Marco era tra questi: riceveva le chiavi al mattino e le custodiva gelosamente fino a sera quando, scuotendo dai vestiti polvere e parole, tornava a casa per celarsi nuovamente al mondo.

Poco più di trenta anni e di corporatura robusta, Marco viveva isolato, usciva solamente quando spinto da necessità; i capelli candidi e la voglia che deturpava l’intero lato sinistro del viso lo rendevano terrificante agli occhi dei più. Anche il direttore della Biblioteca era rimasto fortemente impressionato dal suo aspetto, ma la sua esperienza ed il suo curriculum non permisero al pregiudizio di vincere sulla competenza. Fu assunto. Catalogatore ed estimatore dei volumi, addetto alla loro cura e al restauro. Tra le sue mani scorrevano le ruvide pergamene medioevali, le carte rinascimentali, i sonetti e le poesie in prima trascrizione; a lui il compito della loro custodia. Guardiano silente e solitario. Negli ultimi mesi era stato affiancato da una giovane studentessa, una ricercatrice; sarebbe rimasta al suo fianco per alcuni mesi, per carpire i segreti del simbolismo di una miniatura senza testo, quella “E” che tanto affascinava tutti coloro che avevano potuto vederla, quella “E” che tutto nascondeva.

Prese il secondo tomo dal carrello “Dante: Paradiso, commento di Ugo Foscolo”, sfiorò con il palmo della mano la copertina rosso cupo, come il sangue rappreso, ruvida, come il suo viso. “Non mi sento a mio agio..” nella sua mente ancora udiva quella voce gentile che tremando esitava. Gli occhi azzurri che cercavano di volgersi altrove. “Cerchi di rimanere volto verso la sua sinistra, non le recherà imbarazzo”. Con queste parole taglienti il direttore aveva tentato di mediare la situazione, gelido, come il brivido che adesso gli percorreva la schiena, mentre il polpastrello scivolava sulla pelle a tratti dorata.

“E” come Elena, come Emozione, Estasi, Errore. E come Evitare, il verbo degli occhi di lei che si rifugiavano nella miniatura ogni volta che lui le si avvicinava. Strinse nella mano la costola del volume e lo riposizionò nella sua collocazione, togliendo le poche tracce di polvere con un soffice piumino.

“E”. Di nuovo si imprimeva nella sua mente. Elena era l’unico suo contatto con il mondo; la seguiva con lo sguardo, volgendosi per coprire il proprio volto. Ascoltava i passi di lei che si muovevano nel silenzioso cuore della cultura, quel cuore che pulsa di emozioni scritte da lontano. Riusciva ad immaginarla, socchiudendo gli occhi, ne vedeva il sorriso, gli scuri capelli, lisci e così vividi da credere di poterli toccare.

“E”. Essenza. Quel profumo così intenso di primavera che accompagnava la sua persona era come un soffio di vento fresco e leggero. Aprì gli occhi e scosse il capo. “Non mi sento a mio agio…” continuava a cantare la sua memoria.

Portò le mani sul bordo del carrello, il freddo del metallo lo fece rabbrividire; riprese il suo cammino, quasi stanco, accompagnandosi al ritmo cadenzato del cigolio della ruota anteriore destra. Giunto alla fine del lungo scaffale voltò forzando sul lato sinistro, imprecando tra sé contro gli addetti alla manutenzione. Poi controllò l’appunto che si era preparato per il viaggio successivo: “EN205.16 – Letteratura Med.” Terzo scaffale a destra, primo piano, sala 8. Entrò nell’ascensore con fatica, si sorprese a pensare che forse proprio in quel momento Elena poteva già trovarsi in quella sala, pronta per il suo lavoro quotidiano, immersa nel suo studio. L’avrebbe sorpresa sul tavolone di fondo, assediata dalle innumerevoli copie della miniatura e da libri di simbologia e codicologia.

Si preparò ad uscire, volto verso sinistra. Avrebbe percorso tutto il perimetro della stanza prima di giungere da lei, come se quel movimento fosse qualcosa di naturale. E non avrebbe creato imbarazzo, per nessuno dei due. L’ascensore si aprì al suono del campanellino. Marco spinse il carrello che cigolando lentamente percorse il corridoio, accompagnato dallo scricchiolio dell’incurvarsi del parquet. Giunto innanzi alla sala 8 provò una strana sensazione. Bussò. Poi premette sull’antica maniglia in ottone, spingendo. Aprì la porta, tirando poi il carrello pesante verso di sé.

Era già a metà del salone quando intravide la luce ambrata sul fondo. “Già al lavoro?” La sua voce risuonò solitaria tra le pareti della stanza. “Buongiorno”. Continuò a parlare, avvicinandosi, fino a scorgere Elena poggiata al tavolo. Pareva dormire.

Sorrise. “Hai fatto tardi ieri sera, ed oggi…”, sussurrò avvicinandosi a lei, che continuava a restare ripiegata. Tra le sue mani si intravedeva un calco della “E”, colorato di rosso, colorato forse con fretta come suggeriva la tinta che non era racchiusa all’interno del perimetro della vocale. “Piccola” sussurrò poggiando la mano sulla spalla “così rovini tutto il tuo lavoro..”. Ma lei non rispose, restò china sul tavolo.

Marco si dimenticò di ogni proposito, di ogni raccomandazione del direttore. Si volse verso di lei e le sollevò lievemente le spalle; sentì il suo peso passivo e uno strano calore sulla propria mano sinistra, era un calore rosso ed umano. Le volse il volto, ma verso di lui non fu Elena a volgersi, ma un corpo morto, orrendamente mutilato, forse con un acido. Il lato sinistro era totalmente corroso e al volto angelico si contrapponeva un ghigno sanguigno di morte e fibre nervose.
Con un gesto repentino Mark si tolse il visore. Il suo stomaco rispondeva nauseato allo spettacolo che si era presentato innanzi ai suoi occhi. D’istinto si osservò la mano, ma non era più calda, né rossa, bensì avvolta da un guanto. Si volse attorno ma non c’era più la biblioteca con i suoi scaffali, solo pareti bianche.

Il sistema di proiezione si era interrotto ma l’audio continuava a trasmettere quel sordo cigolio del carrello. Indossò nuovamente il visore ed Elena tornò a cadere in avanti, macchiando con nuovo sangue i suoi calchi. La tuta registrò la variazione elettrodermica e un nuovo segnale appena registrato fornì al sistema un interessante input su cui continuare la programmazione. Avvertiva un senso di costrizione, forse Marco stava correndo. Il proiettore olografico esterno entrò in funzione.

Mark fu riproiettato nella biblioteca, il suo corpo avvertiva l’umidità dell’ambiente, la stanchezza del correre, gli odori di polvere e antichità. Fissò lo sguardo su quella periferica che aveva lasciato cadere a terra, indeciso se immergersi totalmente in quel racconto o fuggire dalla stanza e chiamare il tecnico romanziere perché creasse per lui una storia meno cruenta. Ansimava, percepiva il fresco della corsa e le gambe si facevano sempre più stanche. Lo avrebbero scoperto, avrebbero trovato Marco ed il corpo di Elena così sfigurato. Non ci sarebbe stato alcun dubbio. Non restava che fuggire.

Avvicinò nuovamente il visore ai propri occhi e la biblioteca tornò ad essere chiara e limpida. Cominciò a correre insinuandosi tra uno scaffale e l’altro, fuggendo di sala in sala. La paura era signora del suo animo ed il battito del proprio cuore sembrava un tam tam percosso per un rito tribale.

“Insert object”. Ronald era stato assunto come tecnico romanziere da un anno, ormai conosceva quella biblioteca come le sue tasche. Avrebbe inserito quella porta serrata dall’esterno alla prossima stringa di programmazione, e Marco si sarebbe trovato in trappola con il suo fantasma, mentre i suoi occhi avrebbero rivisto Elena e il sogno, e l’incubo.

“Insert Object = ‘E’…”

EXIT : il cartello si fece vivo sullo sfondo di una uscita di emergenza. Marco provò a spingere con tutta la forza che aveva, ma invano. Tutto era chiuso dall’esterno. Chiuso e freddo. Avrebbe voluto urlare con tutto il fiato che gli restava in corpo. Solamente adesso un barlume di lucidità aveva permesso di associare quei pochi indizi: lui, Elena.. chi altro? Dove poteva essere adesso?

“Insert Object…” Mark sentì stringere al collo. Urlò, tentò la lotta, una strenua difesa. Giurò a se stesso che non sarebbe più entrato in un racconto virtuale e voleva uscirne subito, prima che fosse troppo tardi. Gettò a terra il visore, cerco di sfilare i guanti, ma non avvertiva più percezioni tattili provenienti dalle sue dita…

Tutto stava diventato troppo scuro…

“Erase Object…

Erase Object…

Erase..

E…”.

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